Un percorso artistico dedicato all’universo femminile torna a Genova con numeri di rilievo e uno sguardo che abbraccia teatro, impegno sociale e sperimentazione: dal 15 ottobre prende vita la XXI edizione del Festival dell’Eccellenza al Femminile, ideato e guidato da Consuelo Barilari, che intreccia voci, generi e generazioni in 32 appuntamenti distribuiti fra palcoscenici tradizionali e spazi fuori dai consueti circuiti.
Il filo conduttore della terra e un cartellone diffuso in tutta la città
La scelta di porre la terra al centro della rassegna non è casuale: richiama le radici comuni, la fecondità delle idee, ma anche la responsabilità di custodire e rigenerare la cultura. Sono trentadue gli eventi in programma, dei quali ventisette ospitati dal Teatro Nazionale di Genova e i restanti distribuiti in luoghi simbolici: tre repliche del progetto “Un altro lunedì” di Laura Curino prendono posto nei centri antiviolenza, in collaborazione con l’Unione donne italiane, mentre le “Eumenidi in piscina” vengono presentate in un’insolita cornice, lo Stadio del nuoto di Albaro. L’idea di portare il teatro dove meno lo si aspetta diventa così un gesto concreto di inclusione, capace di avvicinare pubblici eterogenei e di trasformare la città in un unico grande palcoscenico diffuso, coerente con la vocazione del festival a farsi ponte tra artisti e comunità.
La varietà degli spazi restituisce un’inedita stratificazione di sguardi: le vasche di Albaro evocano antiche agorà liquide, i centri antiviolenza si trasformano in luoghi di resilienza condivisa, mentre il Teatro Nazionale consolida il proprio ruolo di cuore pulsante dell’iniziativa. Ogni scelta logistica ribadisce l’urgenza di testimoniare come l’arte possa attecchire ovunque, purché lo sguardo resti aperto. In un’epoca di confini sempre più stringenti, la terra del festival non è soltanto metafora, ma un invito a coltivare spazi di confronto reale, nell’intreccio fra tradizione e innovazione che costituisce il DNA della manifestazione.
L’insoddisfazione verso il Ministero: un riconoscimento che non arriva
L’entusiasmo della direttrice artistica si misura tuttavia con un ostacolo inatteso: la recente valutazione ministeriale che ha ridotto il punteggio di merito destinato al festival. Consuelo Barilari non nasconde la propria amarezza, ricordando che la rassegna, la più longeva e ampia in Italia dedicata al teatro di genere, è inclusa tra i patrimoni immateriali Unesco. “Dopo il grande consenso registrato lo scorso anno, ci saremmo aspettati una conferma, invece il Ministero della Cultura ha scelto di penalizzarci”, denuncia Barilari, sottolineando come tale decisione rischi di intaccare la sostenibilità di un progetto che da oltre vent’anni dà visibilità a drammaturghe, attrici, registe e pensatrici provenienti da ogni parte del mondo.
La direttrice rivendica il valore sociale dell’iniziativa, capace di portare il dialogo sulle disuguaglianze di genere oltre i confini del palcoscenico. Il festival ha saputo far crescere un pubblico partecipe, coinvolgendo scuole, università e reti civiche, fino a diventare un punto di riferimento internazionale. Il taglio di punteggio non è soltanto un dato burocratico: ne risente l’immagine di un Paese che, a parole, dichiara di voler sostenere la cultura e, nei fatti, ne limita la portata innovativa. Barilari rilancia comunque la sfida: “Proprio quest’anno, in cui celebriamo la terra come elemento di connessione, dimostreremo che le radici del festival sono più forti di qualsiasi contraddizione istituzionale”.
L’avvio fra ironia, risate e riflessione sociale
Ad aprire il sipario sarà una cinquina di titoli all’insegna della comicità consapevole. Si parte il 15 ottobre con “Age Pride”, monologo interpretato da Alessandra Faiella tratto da Lidia Ravera: sul palco, lo schiacciamento degli stereotipi legati all’età diventa un atto di ribellione spiazzante e corrosivo. Il 16 ottobre arriva Claudia Trippetta con “La moglie perfetta”, una satira sulle gabbie domestiche che finge di leggere un manuale d’altri tempi per smontarlo scena dopo scena. Il 17 ottobre è la volta di “Esagerate” di e con Cinzia Spanò, affondo sull’asimmetria di potere che ancora segna il rapporto fra i sessi.
Il 18 ottobre Lia Celi firma “Ma che razza di Otello”, dove Marina Massironi riscrive la tragedia shakespeariana in chiave paradossale, mescolando questione razziale e stereotipi contemporanei. Chiude la cinquina, il 19 ottobre, “Lei non sa cosa vuole” di Luisa Merloni, sul palco con Daniele Natali per esplorare desideri, dubbi e contraddizioni di una relazione che scardina le aspettative di genere.
La scelta di inaugurare il festival con il sorriso non è un’escursione leggera: l’ironia diventa la chiave per dissezionare tabù e pregiudizi, offrendo al pubblico un’occasione di ascolto “disarmato”. Le risate, lungi dal dissipare la tensione, la trasformano in energia collettiva, rendendo più incisivo ogni messaggio politico e poetico. In questo modo, l’apertura comica dialoga con il tema della terra: ciò che germoglia, talvolta, ha bisogno di una zolla mossa con delicatezza ma anche con forza, proprio come fa il teatro quando scava nei comportamenti sociali.
Sei prime nazionali per rifondare lo sguardo sul presente
Il cuore della rassegna si arricchisce con sei debutti nazionali ospitati al Teatro Nazionale. Il 29 ottobre “Processo alla democrazia” di Pietra Selva Nicolicchia mette sul banco degli imputati l’architettura stessa del potere, grazie al dialogo serrato fra il procuratore Gian Carlo Caselli, il giornalista Marco Travaglio e figure della società civile, creando un singolare intreccio tra realtà e finzione scenica. Si prosegue il 2 dicembre con “Bisogna lavorare l’argilla” di Massimo Luconi, omaggio alla cantautrice, poetessa e pittrice cilena Violeta Parra: la sua storia di resistenza artistica diviene emblema di un’umanità plasmata, appunto, come argilla da sogni e lotte.
Il 4 dicembre il pubblico incontra “Il gioco dell’universo”, spettacolo tratto da Dacia Maraini che racconta il padre Fosco attraverso la drammaturgia di Maria Dolores Pesce, con in scena Manuela Kustermann e Maximilian Nisi diretti da Consuelo Barilari. Il 5 e 6 dicembre è il turno di “Armande sono io!” di e con Fiorenza Menni, spaccato dedicato agli scritti di Carla Lonzi, figura chiave del femminismo italiano. Il 7 dicembre debutta “Rispost@ua” dell’autrice ucraina Neda Nezhdana con Anna Bodnarchuk, a restituire l’eco di un conflitto troppo vicino per restare indifferenti. L’11 dicembre chiude il ciclo “Controtempo”, scritto e interpretato da Anna Dego con Anna Stante: uno scavo coreografico e narrativo sull’amicizia, sospeso tra danza e parola.
Ciascuna di queste prime nazionali dialoga con la terra intesa come metafora di radicamento e trasformazione: dai processi alla democrazia che interpellano le fondamenta civili, alla necessità di modellare l’argilla del proprio destino, fino alle fratture di un presente segnato da guerre e dislocazioni. Il festival diventa così un laboratorio vivo, coltivato da voci che interrogano il passato per incidere sul domani, offrendo allo spettatore non solo intrattenimento, ma strumenti e prospettive per leggere la complessità del reale.
Il ritorno di un maestro: Eugenio Barba e Julia Varley
Il 2 novembre il cartellone accoglie un evento di portata internazionale: Eugenio Barba, fondatore dell’Odin Teatret, arriva a Genova insieme a Julia Varley, interprete storica della compagnia. Presentano “Ave Maria”, omaggio all’attrice cilena María Cánepa. Barba, pioniere della pedagogia scenica, incastona la lezione di un’intera carriera in uno spettacolo che alterna racconto e azione, mentre Varley restituisce fisicamente le traiettorie emotive della protagonista, in un dialogo serrato fra memoria e presenza.
La loro partecipazione suggella l’internazionalità del festival e ne sancisce la capacità di attrarre figure che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo. Quando un artista che ha attraversato paesi, lingue e culture decide di condividere i propri segreti scenici con un pubblico cittadino, accade qualcosa di raro: la comunità si sente parte di un orizzonte più ampio, e la convinzione che l’arte possa ancora cambiare lo sguardo sul mondo si rafforza. Così si chiude un cerchio ideale: dalla terra che nutre le idee, alle radici del teatro che si intersecano in una rete di relazioni globali, per riaffermare che la cultura è un bene comune da difendere con tenacia.