Tra i vicoli di Kiev e le steppe orientali, la guerra cambia volto di ora in ora: se da un lato le forze di sicurezza ucraine annunciano il colpo di scena nel caso Voronych, dall’altro Mosca avanza nel Donetsk e ringrazia Pyongyang, mentre il cielo resta affollato da droni e missili che Kiev tenta disperatamente di abbattere.
Svolta nelle indagini sull’assassinio di Ivan Voronych
L’unità speciale del Servizio di sicurezza ucraino (Sbu) ha annunciato di aver smantellato il commando responsabile dell’uccisione del colonnello Ivan Voronych, freddato in pieno giorno nel cuore di Kiev lo scorso giovedì. Secondo la ricostruzione ufficiale, i killer — un uomo e una donna — si erano dati alla fuga subito dopo l’agguato, scomparendo nella fitta rete di quartieri della capitale. Gli investigatori hanno tenuto un profilo basso per giorni, mappando spostamenti, intercettando comunicazioni e stringendo gradualmente il cerchio attorno ai sospettati.
La fase conclusiva dell’operazione si è consumata alle prime luci dell’alba: quando le forze speciali hanno fatto irruzione nel nascondiglio, i due presunti sicari hanno aperto il fuoco, costringendo gli agenti a rispondere. Ne è scaturito un breve ma violento scontro a cui entrambi non sono sopravvissuti. Il Sbu sostiene di aver raccolto prove del loro legame con il Servizio federale per la sicurezza russo (Fsb), dettaglio che, se confermato, getterebbe nuova luce sulla portata transfrontaliera del delitto. L’eliminazione dei responsabili, prima che potessero essere interrogati, lascia tuttavia aperti interrogativi cruciali sulle reali dinamiche della missione loro affidata.
Pressione militare russa nel Donetsk: Mirne diventa ‘Karl Marx’
Parallelamente alle operazioni nelle retrovie ucraine, le truppe di Mosca continuano a spingere sul fronte orientale. Il ministero della Difesa russo ha sventolato ieri la bandiera della conquista su Mirne, piccolo centro agricolo nella parte occidentale dell’oblast di Donetsk. Nella comunicazione ufficiale, la località è stata già ribattezzata con il toponimo sovietico ‘Karl Marx’, scelta dal forte valore simbolico che mira a rimarcare la volontà di piegare l’identità storica ucraina a un immaginario imperiale di matrice russa, nell’attuale scenario di guerra che vede la toponomastica trasformarsi in un ulteriore campo di battaglia narrativa.
L’occupazione di Mirne, pur marginale sul piano delle dimensioni, apre però un corridoio tattico in direzione della regione di Dnipropetrovsk, obiettivo che i comandi russi indicano da mesi come prossimo step dell’offensiva. Le linee ucraine nell’area sono sottoposte a una pressione costante, alimentata da artiglieria e droni da ricognizione, mentre i civili rimasti assistono all’ennesima evacuazione forzata. La caduta di ogni singolo villaggio, per quanto piccolo, erode il morale di Kiev e innesca un effetto domino su logistica e rifornimenti.
Pioggia di droni e missili: la risposta di Kiev
Nell’ultima settimana, secondo dati diffusi dallo Stato Maggiore ucraino, oltre 1.800 droni, più di 1.200 bombe aeree guidate e 83 missili di varia tipologia sono stati lanciati dalla Russia verso infrastrutture militari e civili ucraine. Un volume di fuoco che supera la media degli scorsi mesi e che, nel calcolo di Kiev, è finalizzato a logorare la resilienza del paese prima dell’inverno. Sirene, black-out preventivi e rifugi sotterranei sono tornati a scandire la quotidianità di milioni di persone nelle principali città.
A dispetto dell’intensità dell’offensiva, le unità di difesa aerea ucraine sostengono di aver conseguito risultati incoraggianti: i sistemi d’intercettazione terrestri e i droni cacciatori hanno abbattuto centinaia di ‘Shahed’ di fabbricazione russo-iraniana. Il comandante dell’aeronautica ha parlato di una “curva di apprendimento rapidissima” nell’impiego di radar operativi e munizioni antidrone. Ogni drone che non raggiunge l’obiettivo rappresenta non solo un risparmio in termini di vite umane ma anche un segnale, rivolto a Mosca, che la strategia di saturazione non basta più a piegare il sistema difensivo ucraino.
Zelensky guarda alla diplomazia: neutralizzare gli Shahed come priorità
Su X, la piattaforma già nota come Twitter, il presidente Volodymyr Zelensky ha legato con decisione la dimensione militare a quella politica. “I drone Shahed sono uno degli strumenti con cui la Russia prova a prolungare la guerra; eliminarli significa accorciare la strada verso i negoziati”, ha scritto. Il leader ucraino ribadisce che la comunità internazionale deve moltiplicare gli sforzi per blindare il cielo: ogni missile intercettato, afferma, equivale a un minuto guadagnato in diplomazia, in un conflitto dove i secondi valgono come mesi.
Nei colloqui con i partner occidentali avuti negli ultimi giorni, Zelensky ha puntato i riflettori su nuovi sistemi d’intercettazione, sensori a infrarossi e software predittivi che riducono il tempo di reazione da minuti a secondi. Kiev, fa sapere il presidente, attende decisioni incisive da Stati Uniti, Unione Europea e Paesi del G7 su finanziamenti e forniture. L’obiettivo dichiarato è trasformare la difesa antiaerea da scudo di emergenza a infrastruttura permanente, premessa indispensabile — sottolinea Zelensky — per qualunque tavolo negoziale serio.
L’intesa strategica tra Mosca e Pyongyang si rafforza
Mentre Kiev si affida ai propri alleati per consolidare lo scudo aereo, Mosca consolida a oriente una rete di sostegno meno convenzionale. Durante un incontro con il leader nordcoreano Kim Jong Un, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha espresso “sincera gratitudine” per l’aiuto fornito nella regione di Kursk. Secondo il comunicato diramato dal dicastero, reparti dell’Esercito popolare coreano avrebbero partecipato all’espulsione di nazionalisti ucraini e mercenari stranieri dal territorio russo, rafforzando un asse militare sancito da un accordo di partenariato firmato nel 2024.
L’intesa, che prevede assistenza militare reciproca in caso di aggressione a uno dei due Paesi, si è già tradotta in forniture di armamenti e personale da parte di Pyongyang. Stime dei servizi d’intelligence ucraini parlano di circa 14.000 soldati nordcoreani dislocati nel Kursk durante le fasi più dure dei combattimenti. Kim, riportano i media di Stato, ha assicurato a Lavrov “pieno e incondizionato sostegno” alle iniziative del Cremlino volte a “risolvere le cause della crisi ucraina”. Un messaggio che chiude il cerchio di un allineamento strategico sempre più esplicito e che rischia di complicare ulteriormente gli sforzi diplomatici occidentali.