La Nuvola dell’Eur si è trasformata in un laboratorio di futuro, dove il sogno di rinascita dell’Ucraina ha incrociato l’esperienza italiana del dopoguerra. Davanti a Volodymyr Zelensky e a una platea di leader europei, Giorgia Meloni ha delineato un ponte ideale fra le macerie di oggi e il boom economico di ieri.
Roma ospita la conferenza che rilancia l’unità occidentale
Nel quartiere romano dell’Eur, il centro congressi disegnato da Fuksas ha ospitato la Ukraine Recovery Conference, diventando per un giorno il cuore pulsante della diplomazia europea. Volodymyr Zelensky, accompagnato dalla moglie Olena Zelenska, è stato accolto da un applauso che ha rimbombato sotto le volte di vetro. A fare gli onori di casa, Giorgia Meloni ha ricordato che la vera sfida non è soltanto fermare le armi, ma immaginare oggi le fondamenta di un domani prospero per Kiev. L’atmosfera, fatta di strette di mano e colloqui riservati, rifletteva l’urgenza di tradurre la solidarietà politica in iniziative concrete.
Da Roma, la premier ha partecipato in videocollegamento alla riunione dei cosiddetti «Volenterosi» riuniti a Londra, ribadendo che l’unità dell’Occidente resta il cardine di qualsiasi prospettiva di pace. Meloni ha insistito sul fatto che il lavoro dei partner europei e quello della futura amministrazione di Donald Trump siano «complementari» e non in competizione. L’idea, ha spiegato, è costruire un fronte solido capace di disinnescare le pressioni russe e offrire a Kiev una garanzia duratura. Il passaggio, seguito in silenzio da delegati e investitori, ha messo in evidenza la necessità di parlare con una singola voce nelle trattative che verranno.
Dal secondo dopoguerra italiano al domani ucraino
Prendendo la parola in plenaria, Meloni ha offerto un parallelismo che punta direttamente alle emozioni collettive: l’Italia che, uscita distrutta dalla Seconda guerra mondiale, seppe reinventarsi nel giro di un quindicennio, diventando una potenza manifatturiera. Quell’esperienza, ha sottolineato, dimostra come le macerie possano trasformarsi in opportunità quando orgoglio nazionale, capitale privato e sostegno internazionale lavorano all’unisono. Il messaggio era chiaro: il «miracolo economico» non è un mito irripetibile, ma un modello esportabile, a patto che i protagonisti credano nella possibilità di farcela e mettano da parte ogni scoraggiamento.
Seduto a pochi metri, Zelensky ha raccolto quell’immagine rilanciandone una propria: un moderno Piano Marshall per il suo Paese. Ha ricordato che il popolo ucraino, benché stremato da più di tre anni di bombardamenti, continua a difendere la propria libertà «non perché ami la guerra, ma perché non può arrendersi». Con tono fermo ha chiesto capitali, competenze e, soprattutto, la certezza che l’impegno occidentale non verrà meno con il passare delle stagioni politiche. La platea, compatta, ha risposto con un lungo applauso.
Una platea di leader e promesse da miliardi
La cornice internazionale era degna delle grandi svolte storiche. In platea sedevano la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il presidente albanese Edi Rama, lo spagnolo Pedro Sánchez, il polacco Donald Tusk, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il premier olandese Dick Schoof, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e il vicepresidente della Commissione Raffaele Fitto. Al loro fianco, l’inviato speciale di Donald Trump, Keith Kellogg, testimoniava l’interesse di Washington, mentre il presidente del Senato Ignazio La Russa ricordava che l’Italia intende restare al centro della discussione. La varietà di accenti e bandiere, più che simbolica, indicava la volontà di allineare indirizzi politici e strategie industriali.
Quando il microfono è tornato alla premier, l’attenzione si è spostata sui numeri: 10 miliardi di euro di impegni immediati, che diventano 15 miliardi se si considerano i contratti firmati dalle imprese presenti. Meloni ha chiarito che questa è solo la prima tessera di un mosaico più vasto. La vera scommessa, ha avvertito, consiste nel mobilitare capitali privati e attrarre nuovi investimenti; senza quel flusso, le infrastrutture rischiano di restare cantieri incompleti. L’apertura del capitolo economico ha dato il via a colloqui bilaterali serrati, con delegazioni che si sono spostate tra i tavoli alla ricerca di partnership concrete e tempistiche realistiche.
Oltre la ricostruzione: il valore simbolico della libertà
La presidente del Consiglio ha poi toccato la corda più intima: «Non bastano soldi, ingegneri o architetti per ricostruire un Paese martoriato». Serve, ha detto, quel «qualcosa di più» che il popolo ucraino ha già dimostrato di possedere: l’amore di patria e la volontà di garantire ai figli un futuro libero. Le parole hanno suscitato il momento di maggiore coinvolgimento emotivo, in una sala che fin lì aveva oscillato tra calcoli finanziari e diplomazia. Solo chi crede nella propria terra può trasformare la speranza in cantiere, ha scandito.
A conclusione dell’intervento, Meloni ha invitato i presenti a considerare la giornata non come un traguardo, ma come l’avvio di un percorso destinato a durare anni. Ha evocato l’idea di «puntare al miracolo economico ucraino», nato dall’alleanza fra governi, aziende e, soprattutto, cittadini disposti a credere nel cambiamento. Mentre l’assemblea si alzava in piedi, l’immagine dell’Italia che risorgeva dagli anni Quaranta sembrava sovrapporsi a quella di un’Ucraina che ancora combatte. Il messaggio finale era semplice e potente: dalle rovine di oggi può nascere la prosperità di domani.