Diesel Euro 5: stop posticipato al 1° ottobre 2026, divieti circoscritti ai Comuni sopra 100mila abitanti di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna
La marcia indietro sul divieto ai diesel Euro 5 concede dodici mesi di respiro agli automobilisti del Nord e sposta l’attenzione sulle grandi città: l’emendamento al decreto Infrastrutture, approvato in Parlamento, proroga al 1° ottobre 2026 le restrizioni e le limita ai centri con oltre 100.000 residenti.
Un anno in più per adeguarsi
La proroga si traduce in un differimento sostanziale per le regioni della Pianura Padana, dove l’elevata densità di traffico si somma a problemi cronici di qualità dell’aria. Il nuovo termine consente a Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna di programmare piani più mirati, evitando di colpire indiscriminatamente pendolari e piccoli imprenditori che si affidano ogni giorno ai mezzi diesel di categoria Euro 5. L’obiettivo dichiarato rimane la riduzione delle polveri sottili, ma i legislatori hanno scelto di accordare più tempo per adeguare i sistemi di mobilità e rafforzare il trasporto pubblico.
La modifica approvata, che affida la sua applicazione soprattutto ai Comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti, permette di non penalizzare le realtà urbane minori, spesso prive di collegamenti alternativi efficaci. Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha definito la scelta «di buonsenso», sottolineando che l’intervento allinea la tutela ambientale con la tutela sociale. La platea interessata, quasi un milione e trecentomila veicoli, ottiene così tempo prezioso per pianificare la sostituzione o l’adeguamento, evitando spese improvvise.
Cosa cambierà dal 2026
Con l’entrata in vigore del divieto, fissata al 1° ottobre 2026, i veicoli diesel Euro 5 non potranno più circolare nelle aree urbane dei grandi centri del Nord tra le 8.30 e le 18.30, fascia oraria individuata come la più critica per l’accumulo degli inquinanti. A differenza delle versioni precedenti del piano, la soglia demografica sale da 30.000 a 100.000 residenti, criterio che riduce notevolmente l’estensione geografica delle restrizioni e delimita l’intervento ai capoluoghi con servizi di trasporto pubblico già consolidati.
Le amministrazioni comunali coinvolte avranno il compito di definire zone a traffico limitato, controlli elettronici e campagne informative per garantire l’efficacia della misura. Parallelamente, il governo chiede alle Regioni di presentare piani alternativi, dall’ampliamento delle linee suburbane elettriche all’incentivazione di veicoli a basse emissioni, così da poter modulare ulteriormente il divieto. In assenza di iniziative credibili gli stop rimarranno, ma la normativa offre ora una flessibilità maggiore, affinché i provvedimenti non si trasformino in meri atti punitivi per i residenti.
Il percorso politico dell’emendamento
L’iniziativa legislativa porta la firma del capogruppo alla Camera della Lega, Riccardo Molinari, che ha rivendicato la volontà di «mettere un argine alle imposizioni di Bruxelles». Il testo, inserito nel decreto Infrastrutture, ha incassato l’ok di maggioranza e opposizione moderata, trovando sostegno trasversale tra parlamentari preoccupati dalle ripercussioni economiche di un divieto immediato. Dietro la strategia c’è la consapevolezza che un provvedimento troppo rigido avrebbe colpito milioni di famiglie in una fase di rallentamento economico e crescente inflazione nazionale.
Al di là del peso specifico della maggioranza, il governo ha voluto coinvolgere attivamente il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, guidato da Gilberto Pichetto, che ha definito il rinvio una «decisione equilibrata». Il ministro ha ribadito che la transizione verso forme di mobilità più pulite non deve trasformarsi in un onere sproporzionato, ma procedere con gradualità, salvaguardando competitività industriale e coesione sociale. La cabina di regia con le Regioni continuerà nei prossimi mesi per affinare obiettivi e misure di accompagnamento.
Implicazioni per cittadini e mercato dell’auto
Secondo le stime del Codacons, il rinvio salva dalla messa al bando circa 1,3 milioni di automobili che dal prossimo ottobre sarebbero state costrette in garage durante le ore di punta. L’associazione dei consumatori riconosce l’alleggerimento immediato per i bilanci familiari, ma ricorda che senza interventi strutturali sul parco circolante italiano – il più vetusto d’Europa – la qualità dell’aria resterà critica. La richiesta è di affiancare al calendario dei divieti incentivi mirati per l’acquisto di auto a basse emissioni.
Sul fronte industriale, l’anno supplementare offre ossigeno alle concessionarie e alla filiera dell’automotive, che temevano un’inversione improvvisa dei listini e un crollo del valore dell’usato. Gli analisti prevedono che la gradualità del passaggio attenuerà la volatilità dei prezzi, dando alle case auto il tempo di potenziare l’offerta elettrica e ibrida. La vera sfida consisterà nel coniugare disponibilità di modelli accessibili con una rete di ricarica diffusa, condizione indispensabile perché la transizione non resti confinata agli spot pubblicitari di breve durata.
Prossimi passi per Regioni e Comuni
L’anno guadagnato impone alle amministrazioni locali di elaborare rapidamente piani d’azione credibili. Sul tavolo ci sono interventi come l’estensione delle corsie preferenziali per il trasporto pubblico, l’introduzione di bus elettrici e l’installazione di centraline di monitoraggio in tempo reale. Solo dimostrando risultati concreti nella riduzione delle emissioni, le Regioni potranno chiedere al governo ulteriori deroghe o rimodulazioni, evitando che il 2026 si trasformi in una nuova resa dei conti tra esigenze ambientali e diritto alla mobilità per tutti i cittadini.
Contestualmente, le città con oltre 100.000 abitanti dovranno raffinare i propri piani di resilienza, integrando misure come parcheggi di interscambio, incentivi al car-sharing e politiche tariffarie di congestione. Gli esperti avvertono che il successo della strategia dipenderà dalla capacità di agire in modo coordinato, evitando sovrapposizioni e burocrazia ridondante. Senza un approccio unitario, avvisano, le emissioni potrebbero semplicemente spostarsi dalle metropoli alle periferie, vanificando gli sforzi e alimentando il malcontento sociale in un contesto già economicamente complesso del Paese intero.