Una risposta ufficiale di Hamas alla proposta di tregua con Israele è attesa entro la giornata, mentre indiscrezioni provenienti da diverse capitali fanno filtrare ottimismo su un possibile via libera a un cessate il fuoco di sessanta giorni nella Striscia di Gaza.
Contorni dell’intesa proposta
La bozza di accordo, elaborata sotto l’impulso congiunto di Egitto e Qatar e successivamente accolta dal governo di Israele, prevede un cessate il fuoco immediato della durata di 60 giorni. Durante questo arco temporale Hamas consegnerebbe, in cinque fasi scaglionate, dieci ostaggi ancora in vita e restituirebbe le spoglie di diciotto persone uccise e tuttora detenute nella Striscia. Il New York Times descrive il piano come una svolta rispetto alla proposta circolata in maggio, quando si ipotizzava la liberazione complessiva di tutti i sequestrati entro la prima settimana. Il nuovo cronoprogramma dilazionato nasce dall’esigenza di costruire fiducia reciproca passo dopo passo.
Al di sopra di questa architettura negoziale si staglia l’impronta di Washington. Secondo l’emittente qatarina, sarà lo stesso presidente Donald Trump ad annunciare pubblicamente l’intesa, affiancando alla dichiarazione la promessa di un impegno statunitense continuo per trasformare la tregua temporanea in un cessate il fuoco duraturo. Il coordinamento operativo sarà affidato all’inviato Steve Witkoff, incaricato di dirigere le discussioni durante i due mesi di pausa bellica. Gli Stati Uniti vedono nell’interruzione delle ostilità un passaggio indispensabile per alleviare la crisi umanitaria e, al contempo, preservare la sicurezza d’Israele, un equilibrio che l’amministrazione definisce “interesse strategico comune”.
Posizione di Hamas e nodi ancora irrisolti
All’interno di Hamas il dibattito resta acceso. Le fonti citate dal quotidiano panarabo Asharq Al-Awsat parlano di “segnali positivi”, ma ricordano che la leadership del movimento sta esaminando con attenzione ogni clausola prima di fornire la conferma definitiva attesa oggi. Gaza vive infatti un’emergenza umanitaria senza precedenti e il gruppo vuole assicurarsi che l’accordo garantisca l’ingresso regolare di viveri, medicinali e carburante, oltre a una riduzione significativa della presenza dell’Idf nei centri abitati. La posta in gioco, ribadiscono i negoziatori interni, è la credibilità di fronte alla popolazione stremata da mesi di bombardamenti.
Ulteriori discussioni vertono su aspetti considerati tecnici ma decisivi: la definizione di corridoi sicuri per i convogli umanitari, le mappe esatte del ritiro militare israeliano e le regole che disciplinerebbero il periodo successivo ai 60 giorni, nel caso in cui servisse più tempo per raggiungere un’intesa definitiva. Secondo fonti raccolte dall’agenzia turca Anadolu, il movimento palestinese si direbbe disposto a una certa elasticità, purché i “punti cardine” non vengano annacquati. In altre parole, l’obiettivo di Hamas è evitare che la pausa diventi un semplice intervallo, privo di sviluppi concreti per la comunità sotto assedio.
Prossime mosse e attese internazionali
La giornata odierna rappresenta quindi uno spartiacque. Se, come indicano più osservatori, Hamas confermerà il proprio assenso, la Casa Bianca prevede un annuncio congiunto già nelle prossime ore, seguito dalla visita del primo ministro Benjamin Netanyahu a Washington la settimana entrante. Durante quell’incontro il presidente Trump intende premere per consolidare la tregua e sondare le condizioni di un accordo di lungo periodo. L’obiettivo, spiegano funzionari statunitensi, è creare uno slancio diplomatico che renda politicamente costoso per le parti tornare alla violenza una volta terminati i 60 giorni.
Sullo sfondo rimane il dramma quotidiano di Gaza, dove intere famiglie attendono con ansia l’arrivo di qualsiasi segnale di sollievo. Le organizzazioni umanitarie, pur mantenendo un cauto scetticismo, vedono nella proposta uno spiraglio capace di ridurre le sofferenze più immediate: cure mediche, acqua potabile, ripristino parziale delle infrastrutture. Al contempo, la comunità internazionale si interroga sulla durabilità di un’intesa ancora fragile. La scommessa è che sessanta giorni di silenzio delle armi possano trasformarsi in un orizzonte più ampio, restituendo un minimo di stabilità a una regione stremata e offrendo alla diplomazia il tempo necessario per cucire una pace più sicura.