L’economia italiana continua a fare affidamento sull’innovazione tecnologica: dati e proiezioni mostrano come la trasformazione digitale stia imprimendo al Paese una spinta che il resto dell’economia non riesce a garantire, mentre l’intelligenza artificiale emerge da promessa futuristica e si consolida come ingranaggio di crescita reale e misurabile.
La corsa degli abilitatori digitali verso il 2028
Il rapporto annuale di Anitec-Assinform ribalta la percezione di un mercato ancora acerbo, presentando invece un orizzonte in cui cloud computing, cybersicurezza, big data e intelligenza artificiale continuano a espandersi a un ritmo medio del 10,2% l’anno. Questa categoria di tecnologie, definita Digital Enabler e Transformer, prepara il terreno a un settore che potrebbe lambire i 93 miliardi di euro di valore complessivo entro il 2028. L’accelerazione non è casuale: la combinazione di incentivi, crediti d’imposta e fondi Pnrr ha creato un ecosistema più ricettivo, in cui aziende di ogni dimensione trovano motivo – e occasione – per rinnovare processi e modelli di business. La vera posta in gioco, tuttavia, risiede nella capacità di rendere questa crescita omogenea su tutto il territorio nazionale, riducendo le disuguaglianze tra chi innova con vigore e chi resta indietro.
Se si guarda al 2024, l’intero mercato digitale italiano ha toccato quota 81,6 miliardi di euro, segnando un avanzamento del 3,7% rispetto all’anno precedente e distaccando nettamente il PIL nazionale, fermo allo 0,7%. A trainare questa progressione sono stati soprattutto i Servizi ICT, cresciuti del 7,4% e divenuti punto di riferimento per la domanda di soluzioni di cybersecurity, cloud e AI. In parallelo, il comparto Software e soluzioni ICT è salito del 3,9%, mentre Contenuti e pubblicità digitali hanno guadagnato il 5,6%. Dopo anni di stallo, persino i Dispositivi e sistemi hanno invertito rotta (+1,6%), dimostrando che la richiesta di hardware resta vitale quando supportata da servizi avanzati.
L’intelligenza artificiale, da esperimento a pilastro economico
Nella fotografia scattata da Anitec-Assinform, la parte del leone spetta alla AI, che tra il 2023 e il 2024 ha messo a segno un balzo del 38,7%, superando i 900 milioni di euro di valore. Un progresso “senza precedenti”, come lo definisce il presidente Massimo Dal Checco, che parla del 2025 come dell’anno in cui l’AI “ha smesso di essere ambizione e ha iniziato a ridisegnare il presente”. Nonostante l’entusiasmo, il tasso di adozione resta modesto: solo l’8,2% delle aziende con più di dieci addetti utilizza effettivamente soluzioni basate su algoritmi intelligenti. Le applicazioni privilegiate? Text mining, riconoscimento vocale, generazione di linguaggio naturale e machine learning per l’analisi predittiva dei dati.
L’ampiezza del potenziale contrasta con la cautela delle imprese, impegnate a calibrare investimenti e a reperire competenze rare. Tuttavia, la direzione è tracciata. Le tecnologie AI si stanno integrando in settori al di là dell’IT tradizionale, dall’industria manifatturiera ai servizi finanziari, contribuendo a rinnovare catene di fornitura, customer service e gestione documentale. Di fatto, ogni euro immesso nell’intelligenza artificiale si riflette in un guadagno di produttività che, a cascata, sostiene l’intero ecosistema tecnologico.
Aziende di taglio diverso, velocità diverse
Il tessuto produttivo nazionale continua a mostrare profonde differenze tra realtà di grandi dimensioni e PMI. Dal 2021 al 2024, oltre la metà delle aziende (52,6%) ha investito in almeno una tecnologia digitale, e un ulteriore 38% conta di farlo entro il 2026. Tuttavia, l’83% delle imprese maggiori utilizza già strumenti avanzati, mentre tra le piccole e medie il dato si ferma al 62%. La distanza non è solo numerica: riguarda la capacità di trasformare gli investimenti in vantaggio competitivo stabile.
Fra le tecnologie più adottate spiccano piattaforme digitali (59%), robotica (47%) e Internet of Things (44%). La stampa 3D e la realtà aumentata restano invece soluzioni di nicchia, frenate da costi e mancanza di casi d’uso immediatamente redditizi. A colpire è il numero di grandi aziende – una su tre – che sperimenta già applicazioni di intelligenza artificiale, mentre molte PMI stentano a trovare risorse e conoscenze per fare il salto. La conseguenza è un potenziale di crescita ancora inespresso, che richiede politiche mirate e un mercato dei talenti più dinamico.
Pubblica amministrazione tra ambizione e risorse
La PA non resta alla finestra, anche se procede con passo meno uniforme. Nel 2024 la spesa in AI è aumentata del 45,5%, salendo da 32,5 a 47,3 milioni di euro. Il 75% degli investimenti, tuttavia, rimane concentrato negli uffici centrali, mentre la PA locale fatica per carenza di fondi e competenze tecniche. Le applicazioni più promettenti coinvolgono l’automazione dei processi amministrativi, l’analisi predittiva e il miglioramento dei servizi al cittadino. Il nodo cruciale è trasformare queste sperimentazioni in standard operativi a beneficio di ogni territorio.
La disparità di risorse rischia di allargare la forbice tra amministrazioni centrali e periferiche, proprio nel momento in cui i cittadini chiedono servizi digitali semplici, sicuri e accessibili. I fondi legati alla Transizione 5.0 e alle misure post-Pnrr possono fare la differenza, ma devono essere accompagnati da percorsi di formazione continua per i dipendenti pubblici e da un rinnovato modello di governance che favorisca la condivisione di best practice.
Competenze, la vera infrastruttura strategica
Anitec-Assinform mette in guardia su un paradosso: il mercato corre, ma la carenza di professionalità rischia di trasformare l’opportunità in freno. Servono ingegneri del prompt, specialisti di etica algoritmica, esperti di cybersecurity e data scientist, profili che oggi il sistema formativo fatica a produrre in quantità adeguata. A questa criticità si aggiunge il divario geografico, con aree del Paese più lente a intercettare i talenti e a offrire percorsi di carriera competitivi.
Il rapporto invita quindi a considerare la digitalizzazione non solo come strumento economico, ma anche come chiave per affrontare le sfide demografiche e ambientali. Il digitale può ridurre l’impatto delle carenze di forza lavoro, ottimizzare il consumo di risorse e arginare le disuguaglianze, purché l’innovazione sia inclusiva. “L’AI è sfida economica, sociale e politica insieme”, ricorda Dal Checco. Ecco perché modernizzare la formazione, rafforzare i percorsi di upskilling e rendere l’innovazione accessibile a tutte le imprese diventa, in ultima analisi, la strategia più efficace per consolidare la centralità del digitale nell’economia nazionale.