La sera di sabato 14 giugno, Tolentino era attraversata dal via vai del fine settimana, luci dei bar accese e bambini che rincorrevano il gelato sciolto. Poi, all’improvviso, il silenzio è diventato urlo: alle 20 circa, in viale Benadduci, Gentiana Hudhra, 45 anni, è stata colpita a coltellate dall’ex marito davanti a decine di testimoni. L’uomo, 55 anni, non è fuggito: si è seduto su una panchina, ha guardato il corpo a terra e all’arrivo dei carabinieri, ha sussurrato: «Ho fatto quello che dovevo».
Questo delitto è il 33° femminicidio registrato in Italia nel 2025, un numero che racconta molto più di una statistica: racconta famiglie spezzate, figli rimasti senza madre, comunità attonite. Secondo l’Istat, oltre il 13% delle donne ha subìto violenza fisica o sessuale da partner o ex partner, e l’82% delle donne uccise è ammazzato in ambito familiare. Noi, cronisti e cittadini, non possiamo limitarci a contare; dobbiamo interrogarci sul perché ogni campanello d’allarme continui a suonare a vuoto.
La cronaca dei fatti
Verso le 19.45 l’aggressore ha raggiunto la vittima in monopattino elettrico, l’ha affrontata all’imbocco del viale e ha sferrato numerose coltellate al collo e alle spalle. Gentiana ha gridato, è caduta sull’asfalto, e l’uomo ha continuato a colpirla con calci. I passanti, terrorizzati, hanno chiamato il 112; in pochi minuti sul posto sono arrivati militari e sanitari, ma per la donna non c’era più nulla da fare.
La scena, ripresa da un video diffuso sui social, è agghiacciante: l’assassino seduto immobile sulla panchina, intorno persone che camminano attonite. «Ho fatto quello che dovevo», avrebbe ripetuto più volte. Alcuni testimoni parlano di una lite di pochi secondi, poi la furia. Al momento dell’arresto l’uomo non ha opposto resistenza. Che cosa spinge un uomo a trasformare una strada in un mattatoio?, ci chiediamo con voi.
Chi erano vittima e aggressore
Gentiana Hudhra era nata in Albania ma viveva nelle Marche da anni. Faceva la badante e da tre anni era separata dal marito. Due figli ormai adulti, 21 e 23 anni, la descrivono come «una lavoratrice instancabile, sempre pronta ad aiutare tutti». Per arrotondare, dice un’amica, si fermava spesso a fare turni extra: «Aveva un sogno semplice, costruire un futuro sereno per i ragazzi».
Il presunto assassino, Nikollaq Hudhra, 55 anni, anche lui albanese, viveva a Perugia e non risultava in cura per disturbi psichiatrici, sebbene la famiglia parli di “problemi di salute mentale”. Venerdì era arrivato nelle Marche, aveva visto i figli e poi – secondo gli investigatori – aveva preparato l’agguato. Non risultano denunce pregresse né misure cautelari a suo carico: quel silenzio burocratico che suona come una condanna.
Il dolore di Tolentino
Domenica mattina il sindaco Mauro Sclavi ha proclamato il lutto cittadino per il giorno dei funerali e rinviato la Festa dello Sport prevista in piazza. «Non possiamo fare finta di nulla», ha detto, invitando la cittadinanza a una fiaccolata di raccoglimento. I negozi abbasseranno le saracinesche per cinque minuti, le scuole osserveranno un minuto di silenzio.
Nelle chat di quartiere si moltiplicano messaggi di cordoglio, mentre il video dell’omicidio continua a rimbalzare online. Noi preferiamo fermarci alle parole di una testimone: «Eravamo impotenti, bloccati dalla paura». In quella frase batte il cuore di una comunità intera che si chiede se avrebbe potuto fare di più.
Indagini e implicazioni giudiziarie
Il pubblico ministero Enrico Riccioni ha disposto il fermo per omicidio volontario aggravato. I carabinieri del Nucleo investigativo di Macerata stanno esaminando le telecamere di sorveglianza e ricostruendo i movimenti di Nikollaq Hudhra nelle ore precedenti: avrebbe comprato il coltello in un negozio di ferramenta poco prima dell’agguato.
Gli inquirenti confermano che non c’erano querele o ammonimenti attivi: restano da verificare eventuali episodi mai denunciati di violenza domestica. La Procura valuta anche la posizione dei figli, che avevano trascorso il pomeriggio con il padre. Troppa normalità può diventare complicità inconsapevole?
Femminicidi: il quadro nazionale
Con Gentiana arriviamo, lo ripetiamo, a 33 donne ammazzate in Italia dall’inizio dell’anno. Nel 2024 le vittime erano state 98, di cui 51 uccise da partner o ex. Le indagini statistiche Istat ci ricordano che la casa rimane il luogo meno sicuro per moltissime donne: l’82% dei femminicidi avviene in ambito affettivo. Eppure il numero delle denunce rimane drammaticamente basso.
La Convenzione di Istanbul, recepita nel nostro ordinamento, impone allo Stato politiche di prevenzione, protezione e persecuzione del reato. Nel 2023 l’Italia ha investito nuove risorse sul “percorso rosa” nei pronto soccorso e sul rafforzamento del protocollo “Codice Rosso”, ma l’impunità culturale resta la barriera più dura da abbattere.
E adesso, cosa possiamo fare?
Noi giornalisti possiamo raccontare, voi che ci leggete potete pretendere che ogni urlo venga ascoltato: se conoscete una donna in pericolo, non aspettate. Parlate con lei, offrite di accompagnarla a sporgere denuncia, chiamate il 1522 – numero nazionale antiviolenza e stalking, attivo 24 ore su 24, multilingue e gratuito.
E se la violenza vi riguarda in prima persona, ricordate che non siete sole: centri antiviolenza, sportelli di ascolto, case rifugio esistono e funzionano. Costruiamo insieme una rete di attenzione quotidiana: salutiamoci sulle scale, domandiamoci come stiamo, non giriamo la faccia altrove. Rompere l’isolamento è il primo passo per spezzare il ciclo della violenza.