Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, l’inchiesta si ritrova di nuovo al punto di partenza: manca un reperto-chiave, il frammento d’intonaco con la celebre “impronta 33”. Senza quel campione, le nuove analisi disposte sul palmo attribuito ad Andrea Sempio rischiano di saltare. Il giallo giudiziario – condanna definitiva di Alberto Stasi, indagine fresca su Sempio, incidente probatorio fissato al 17 giugno – torna così in prima pagina, con domande pressanti sulla catena di custodia, sull’affidabilità delle prove e sul futuro della sentenza.
La scoperta del reperto scomparso
Il 25 maggio gli inquirenti hanno ammesso di non trovare più il pezzo di muro raschiato nel 2007 sopra il terzo gradino della scala dove giaceva il corpo. Quel frammento era stato prelevato con bisturi sterile e trattato con ninidrina; oggi servirebbe per test di DNA e possibili tracce di sangue. La Procura di Pavia e il Ris di Parma hanno rovistato archivi e celle frigorifere, ma del campione nessuna traccia: ne resta solo la foto in alta risoluzione scattata allora.
Gli investigatori temono che il reperto sia andato distrutto dopo la condanna di Stasi, quando molti materiali furono dichiarati non più utili. Eppure le tecniche forensi odierne permetterebbero di estrarre materiale biologico anche da minuscole scaglie. Senza quel tassello, l’impronta 33 resterebbe un’immagine, non una prova, con il rischio di indebolire l’intero nuovo filone d’indagine.
Chi è Andrea Sempio e perché torna al centro dell’indagine
Sempio, oggi 37 anni, era il migliore amico di Marco Poggi, fratello di Chiara. Nel 2017 la sua posizione era stata archiviata per “assoluta carenza di riscontri oggettivi”. A marzo 2025, però, il suo DNA è stato isolato sotto le unghie della vittima e i dattiloscopisti del Ris hanno collegato 15 punti di contatto fra il suo palmo destro e l’impronta 33, riaprendo il fascicolo a suo carico.
Sempio si difende ricordando di aver frequentato spesso la villetta e di aver “toccato ogni stanza tranne la camera dei genitori”. I suoi legali parlano di “traccia innocente”, ma i consulenti di Stasi sostengono che nell’impronta potrebbe esserci sangue di Chiara: da qui la richiesta di nuove analisi. La posta in gioco è alta perché, se l’esame confermasse un contatto ematico tra vittima e sospettato, l’impianto accusatorio cambierebbe volto.
Le domande sul verdetto contro Alberto Stasi
Stasi, ex fidanzato della vittima, sconta dal 2015 una condanna definitiva a 16 anni. Dieci punti probatori — dal racconto al 118 alla compatibilità delle scarpe n. 42 — avevano convinto la Cassazione. Oggi quegli stessi atti vengono riletti alla luce delle impronte e del DNA che puntano su Sempio. Gli avvocati di Stasi preparano un’istanza di revisione, forte del principio secondo cui due sentenze definitive contrastanti non possono coesistere.
Giuristi come Gian Luigi Gatta avvertono, però, che la strada non è priva di ostacoli: per revocare una condanna serve una “nuova prova decisiva”, non semplici dubbi. In assenza dell’intonaco, l’impronta rischia di diventare insufficiente; allo stesso tempo, un’eventuale condanna di Sempio aprirebbe comunque il conflitto tra giudicati, obbligando i tribunali a riesaminare l’intero caso.
Come si muove la Procura di Pavia oggi
Il procuratore Fabio Napoleone ha delegato i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano a una revisione completa della scena: ricostruzione della dinamica con Bloodstain Pattern Analysis, studio delle ferite, ricerca dell’arma mai trovata (forse un attizzatoio, forse una pinza da camino). Parallelamente verranno analizzati due profili maschili rinvenuti sotto le unghie della vittima, uno riconducibile a Sempio. Il calendario segna il 17 giugno per l’incidente probatorio su tutti i reperti superstiti.
I tecnici del Ris dovranno spiegare anche l’impronta 10, fotografata sulla porta d’ingresso: otto minuzie, poche per l’identificazione, ma forse abbastanza per un test biologico. Intanto l’ex procuratore Mario Venditti, che chiese l’archiviazione per Sempio nel 2017, definisce l’impronta 33 “inservibile e infruttuosa” e invita a “evitare narrazioni diffamanti”. Il confronto tra vecchie e nuove perizie sarà il momento di verità per capire se l’indagine può davvero decollare.
Cosa c’è in gioco per la verità giudiziaria
La scomparsa di un reperto fisico solleva interrogativi sulla gestione delle prove nei casi di lunga durata. Se il frammento non riapparirà, la difesa di Sempio potrà lamentare l’impossibilità di un esame irripetibile; la difesa di Stasi dirà l’opposto, accusando gli archivi di aver “cancellato” la prova della sua innocenza. È il paradosso di un cold case in cui la tecnologia corre più veloce degli schedari.
Oltre a decidere chi ha ucciso Chiara Poggi, la partita ridefinirà il rapporto fra scienza forense e processi penali in Italia. I passi falsi del passato — catene di custodia fragili, reperti trattati con metodiche ormai superate — mostrano quanto sia cruciale conservare i materiali in modo corretto. Dal 13 agosto 2007 a oggi, la ricerca della verità ha cambiato protagonisti ma non urgenza: senza l’intonaco fantasma, il rischio è di restare ancora prigionieri di un dubbio.